Anche l’occhio vuole la sua parte. Lo sappiamo, i luoghi comuni sono tremendi da utilizzare, figurarsi come *opening line dell’articolo di punta del nuovo Bleed, ma quanta verità è racchiusa in questa frase? E quanto è banale dirlo? Parecchio, ma. Facciamo un passo indietro e capiamo perché sembra che siamo impazziti.*
— Il Layout
Aprite un giornale, una rivista, un qualsiasi magazine e sfogliatelo. Quello che vi si pone davanti, è un layout, ovvero la disposizione grafica di testi e immagini all’interno della pagina; lo stesso Bleed che state leggendo, ha alle sue spalle uno “scheletro”, una struttura ossea, che organizza e delimita le diverse zone della pagina. Nessun elemento è posizionato in maniera casuale, (o almeno così dovrebbe essere) e anzi ci sono degli studi che ci aiutano nella creazione di una pagina armoniosa e proporzionata. Un buon impaginato, infatti, deve essere anche visto, non solamente letto. Bisogna scegliere attentamente le immagini, coordinarle con i font che utilizzeremo e dargli la giusta importanza scegliendo loro, la migliore e più coerente posizione.
— La Griglia
È il suddetto scheletro della pagina, colei che ci aiuta a creare ordine. Il rapporto tra lei e i designer, è sempre stato di amore e odio perché, se da una parte la griglia garantisce ordine dove prima regnava il caos, dall’altro “ingabbia” i designer all’interno di vincoli ben definiti. La strada giusta è quella del compromesso, come ci dice il designer svizzero Josef Müller-Brockmann che in Grid Systems in Graphic Design afferma che “Il sistema a griglia è un aiuto, non una garanzia.” Si deve essere flessibili nell’impaginazione, non rimanere costretti all’interno di limiti troppo definitivi, ma crearsene di nuovi. Se tutti rispettassimo perfettamente le stesse griglie, che noia sarebbe la grafica editoriale? Libri tutti uguali, ordinatissimi sì, ma tutti uguali!
Perché è importante una buona impaginazione? E qui ritorniamo al luogo comune. Cosa ci facciamo di un bel testo, di belle immagini, se poi queste vengono organizzate così male che l’occhio non vuole nemmeno vederle? Assolutamente niente! L’occhio umano è irrimediabilmente attratto dall’armonia, dalle giuste proporzioni, basti pensare alla sezione aurea. Quindi, surfando l’onda dei luoghi comuni, possiamo dire che anche l’occhio vuole la sua parte… E che parte! Durante gli anni ‘20 e ‘30 tanto era diventato importante l’aspetto estetico dei libri, che vennero scritti dei veri e propri manuali dove si alludeva a una fantomatica grafica perfetta. Uno di questi, tra i più importanti, è Die Neue Typographie (1928) di Jan Tschichold, designer e tipografo tedesco che affermava come l’impaginazione simmetrica fosse rigida e poco funzionale, contrariamente alle impaginazioni asimmetriche e dinamiche, che lui stesso favoriva. Nel suo libro, tuttora considerato il principale manifesto della tipografia modernista, affermava anche l’importanza degli spazi vuoti, non intesi come “spazi inutili”, ma come elementi precisi e determinanti del design. Avete presente quando si dice “Eh, ma mi sembra un po’ vuoto…”? Ecco, ora potrete chiamare in causa il buon Tschichold dicendo che lo spazio bianco, non è spazio da riempire ma ha un suo peso e una sua importanza.
— Da Gutenberg a Indesign
Sapete che anche Gutenberg usava le griglie? Ebbene sì, ed è lo stesso Tschichold a raccontarcelo! Nel suo The Form of the Book del 1975, ci illustra il canone di Van de Graaf (da J. A. van de Graaf, il suo primo “utilizzatore”) ovvero il metodo che utilizzava il padre della tipografia e che ovviamente esiste da molto prima del computer, della macchina da stampa e anche prima di vere e proprie unità di misura. Non pica, punto pollici o millimetri, ma soltanto foglio, righello e matita.
Il canone di Van der Graaf, conosciuto anche come “il canone segreto”, funziona con tutti i formati pagina, qualunque sia il rapporto tra larghezza e altezza e permette di posizionare il corpo del testo, in una specifica area della pagina. Usando questo metodo, le proporzioni saranno mantenute, creando dei margini di 1/9 e 2/9 della misura del foglio. Il margine interno sarà la metà del margine esterno e di proporzioni 2:3:4:6 (interno:superiore:esterno:inferiore).
Raùl Mario Rosarivo
Quello che ci illustra Tschichold è basato su semplici proporzioni, l’equivalente della divina proporzione del designer, tipografo e tantissimo altro, Raùl Mario Rosarivo. Quest’ultimo infatti analizzò molti libri del Rinascimento dal punto di vista “tipografico” e nel suo “Divina proporción tipográfica” (1947) ci spiega come scoprì, utilizzando un compasso e un righello, che c’era una relazione tra il libro di Gutenberg e gli altri del tempo (come ad esempio Peter Schöffer e Nicolas Jenson.) In breve, il sistema funziona dividendo l’altezza e la larghezza della pagina in 9 e disegnando un cerchio e due diagonali per stabilire la larghezza e l’altezza del blocco di testo. Questo ci fa capire come Gutenberg venisse idolatrato e seguito dai suoi contemporanei non solo nella struttura della pagina e per esempio nella forma delle lettere, ma anche nella progettazione della pagina stessa.
Tutte queste regole non vi devono far credere, però, che il vostro impaginato sarà corretto solo se metterete il testo a 2/9 di distanza dal bordo esterno. Si tratta di equilibri, equilibri che possono essere modificati, migliorati e, perché no, anche stravolti.
— La grafica svizzera
Di natura modernista, la grafica svizzera, nata negli ani ’50, esalta la semplicità, il minimalismo e l’estremo ordine. È facilmente riconoscibile grazie all’utilizzo di schemi asimmetrici, griglie rigide e font sans serif (non graziati, bastoni), associati a immagini semplici ma efficaci. Non è certo un caso che uno tra i caratteri tipografici più famosi, l’Helvetica, sia stato creato nel 1957 da Eduard Hoffmann, direttore della fonderia Haas di Münchenstein e disegnato da Max Miedinger, anche lui svizzero.
All’opposto della tavola immaginaria dove siedono le diverse correnti artistiche, troviamo tra gli altri, il Futurismo che con Filippo Tommaso Marinetti ci dà un esempio di libro totalmente differente dalle proporzioni armoniose di cui abbiamo appena parlato. Eppure, guardandolo, si può “leggere” una struttura anche in questo caso… un disordine, ordinato! Sulla sedia accanto, troviamo il Dadaismo movimento nato a Zurigo nel 1906 che, condivideva con il Futurismo, l’intento dissacratorio e la continua ricerca di nuovi meccanismi per fare arte. Visivamente molto simili, le due correnti artistiche, differivano però per ideologia politica: i primi contrari alla guerra, mentre i secondi, favorevoli. Nei loro periodici, si nota come il design grafico fosse il codice della rivolta. Contenuti di grande importanza amalgamati alla perfezione attraverso layout e immagini ben studiate, in una disposizione degli elementi che comunicava con immediatezza l’intento artistico dei movimenti stessi. Con una grafica schietta e approssimativa, fecero crollare, mattone dopo mattone, i principi della grafica “professionale”.
— E oggi?
È indubbio che l’arte Grafica sia molto spesso improvvisata: siamo circondati da materiale di dubbia qualità creata su basi non sufficientemente solide da supportare un progetto creativo. Potremmo paragonare la diffusione dei “grafici improvvisati” a quella dei “fotografi improvvisati”: con la messa in vendita di macchine fotografiche semi professionali a costi relativamente ridotti, tutti si sentono di poter acquistare la qualifica di fotografo. Lo stesso vale con la grafica laddove una volta imparati a usare due strumenti, ci si sente dei maghi di Indesign.
Fortunatamente però, ci sono tantissimi esempi di giornali e riviste che invece fanno della parte grafica uno dei loro punti di forza. Basti pensare a periodici come “IL” de Il Sole 24 ore, o “Vita Magazine”...