Che bel colore, quel colore non ti sta bene, guarda che bel colore. Ma è davvero tutto oggettivo? Da dove nasce il colore? Perché sceglierne uno piuttosto che un altro?
Già dal nome stesso dell’oggetto, lo immaginiamo arancione appunto e invece, blu. Straniante vero? Abbiamo aperto così il nuovo numero di Bleed per darvi prova di quanto il colore sia importante, non solo nelle arti, nella scienza, ma anche nella semplice quotidianità; e anzi, sia un discriminante: mangereste un’arancia blu?
Questo pregiudizio ci viene confermato da rilevazioni elettroencefalografiche che hanno mostrato come il nostro cervello risponda in maniera positiva al nostro colore preferito, ancora prima che venga riconosciuto l’oggetto di quella tonalità. Esperimento: aprite un sito di e-commerce, di abbigliamento per esempio; scorrete e diteci se non vi soffermate per prima cosa sugli oggetti del vostro colore preferito… I colori ovviamente, non sono tutti uguali e ognuno ci comunica cose differenti, a seconda anche della parte del mondo dove siamo… ma questo lo vedremo più avanti.
C’è un aneddoto divertente sul blu, datato 1999: siamo a Glasgow e alcune zone della città scozzese vengono decorate con luci blu, per semplice ornamento. Ebbene, nei quartieri così decorati, riduzione della criminalità! Che i malintenzionati siano stati scoraggiati dall’associazione con le luci lampeggianti della polizia, o dalla stranezza di trovarsi sotto una luce così particolare non ci è dato saperlo, ma lo stesso esperimento è stato fatto in Giappone e anche qui… criminalità diminuita! Il blu infatti, ci dicono gli esperti, evoca sicurezza, affidabilità, serenità. Non fateci troppo affidamento però, continuate a mettere l’antifurto alla macchina!
È il colore che cattura maggiormente la nostra attenzione. Non è un caso che i segnali di pericolo, i semafori, siano rossi. Ci fa aumentare pressione e battito cardiaco e fisiologicamente, anche l’appetito, spingendoci a mangiare più velocemente: ecco spiegato perché molti fast food scelgono il rosso come colore per il proprio arredamento e packaging… un colore appetitoso! Vale solo per il cibo? Assolutamente no: è statisticamente provato (e non solo, chi vi scrive è una ragazza che l’ha testato in prima persona) che se indossate un vestito rosso, verrete notate maggiormente: stesso vestito, nero o rosso e vi assicuro che i commenti saranno del tutto diversi! E i maschietti? A quanto pare alle Olimpiadi del 2004, in alcune discipline, la tuta rossa ha vinto il 55% dei match, perché comunicherebbe abbondanza di testosterone… che basti questo per vincere una gara? Chissà…
Bio, eco, natura, vegan: è il verde che caratterizza tutte queste qualità, ma non solo. Il verde rimanda anche alla calma, alla freschezza, alla salute, non è un caso che sia il colore caratteristico degli interni degli ospedali o di confezioni di prodotti come dentifrici, collutori e simili. Poi c’è il verde speranza, i verdoni, il verde acido…
Felicità, entusiasmo, vivacità: il giallo è tutto questo e molto di più! Spesso utilizzato per richiamare l’attenzione offline, viene usato anche per call to action poiché indica ottimismo e chiarezza ed è più facilmente riconoscibile. Sapete che è proprio per questo motivo che a New York Harry N. Allen dipinse il suo taxi di giallo? Lo stesso vale per gli scuolabus. E poi… è il colore di Sprint24!
Eleganza e valore, non a caso è molto utilizzato tra i brand di lusso: D&G;, Gucci, Versace. Allo stesso tempo, se pensiamo al lutto, pensiamo al nero, colore prediletto nei funerali e scartato quasi a priori dai matrimoni. Peccato perché il nero, si sa, sta bene con tutto.
Come abbiamo detto, è importante contestualizzare anche il luogo di cui stiamo parlando quando trattiamo i colori. Qualche esempio? In Cina le spose sono in rosso, in Africa è il colore del lutto, in India, della purezza. Il verde speranza in Occidente, diventa simbolo di adulterio della moglie o esorcismo in Medio Oriente. Il bianco poi, colore per eccellenza dei matrimoni, degli angeli, colore di pace in Occidente, diventa simbolo di infelicità in India fino ad arrivare a lutto e morte in Cina a Giappone. Questo quindi ci spiega come l’esperienza del colore sia soggettiva e possa rimandare alla propria cultura la quale ci suggerisce, ci indica, la strada della percezione da avere su quello specifico colore. L’antropologo Brent Berlin e il linguista Paul Kay nel loro Basic Color Terms: Their Universality and Evolution (1969) affermano che i nomi pensati per i colori partono da un minimo di due (chiaro e scuro) fino a un massimo di undici dimostrando inoltre che, più si vuole allungare il lessico dedicato al colore, più lo sviluppo è omogeneo nelle varie culture; cioè, dopo il chiaro e lo scuro, il primo colore che viene indicato è il rosso, successivamente il verde, il giallo fino all’arancione che è il nome di colore meno “diffuso”. Gli antichi Greci non utilizzavano dei nomi fissi per i diversi tipi di colore, ma li distinguevano invece basandosi su limpidezza o oscurità così che di fatto, esistevano soltanto il bianco e nero. Con “xanthos” per esempio, potevano indicare sia il giallo lucente che il rosso vivo del fuoco, come pure le tinte purpuree e anche il blu. Alcuni colori poi, non avrebbero nome, se non in associazione a colore di un elemento naturale (“verde” che diviene “foglia”) allo stesso modo di come noi diciamo cipria di un rosa, o un rosso come ruggine.
Ma perché proprio bianca? La spiegazione di questo può risalire alla dinastia Han orientale, in Cina (25-220 d.C.), o alla Guerra civile romana del 68-69 d.C. dove si alzarono rami d’ulivo e bende bianche in segno di sconfitta; bianchi perché erano più facilmente reperibili (costando meno) e inoltre non c’era rischio si confondessero con i vessilli, pacchianamente colorati, delle varie casate.
La scelta del fondale verde non è casuale ma è da far risalire agli albori del gioco, nel 14esimo secolo, quando veniva praticato all’aperto direttamente sull’erba; furono i nobili francesi e inglesi, ovvero gli unici a praticare quel gioco, a decidere di spostarsi al chiuso, a causa del brutto tempo e delle sommosse popolari. Si tratta quindi di una scelta puramente dettata dalla nostalgia.
Arancione per la pallacanestro, gialle per il tennis: la scelta del colore delle palle da gioco è stata dettata in entrambi i casi dalla maggiore visibilità.
I medici vestivano inizialmente camici bianchi per distinguersi dai “civili”, un tratto distintivo, dunque, che divenne molto presto simbolo di autorevolezza e pulizia. Fu verso la metà del 20esimo secolo che chirurghi e infermieri lo abbandonarono in favore di quello verde, più facile da pulire da inevitabili macchie.
Nasce nel 1921 la divisa a strisce bianche e nere dei direttori di gara di sport americani. L’idea venne a Lloyd Olds al quale l’anno precedente, mentre digeriva una partita di football, passarono la palla scambiandolo per un giocatore. La precedente divisa era composta da una semplice maglietta bianca, un cappellino e un papillon che, nell’enfasi del gioco, era facile non notare. Si presentò dunque con la nuova divisa che in un primo momento venne fischiata, ma successivamente apprezzata e utilizzata. Ora rimane in uso quasi esclusivamente nei negozi di un noto franchising di articoli sportivi.
Ora però è tempo di farvi una rivelazione: ricordate il gioco che facevate da bambini dove la strega nominava un colore e tutti a correre alla ricerca di un oggetto di quel colore? Bene, abbiamo sempre perso tutti: i colori non esistono. Colpo di scena? Non proprio, ma andiamo con ordine e, iniziamo, citando testualmente, “il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina inviano al cervello quando assorbono le radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda e intensità nel cosiddetto spettro visibile o luce.” È grazie a Newton che oggi sappiamo che non sono gli oggetti a essere colorati, bensì attraverso la rifrazione della luce, essi trattengono determinate lunghezze d’onda, “restituendone” altre, che definiscono il colore a noi visibile.
Precedentemente si pensava che la luce fosse bianca, senza distinzioni, e la “creazione” dei colori nascesse da un processo di contaminazione dalla cose terrestri; solo il sole, la purezza divina, poteva emanare luce bianca. Newton è stato il primo a condurre degli studi scientifici sullo spettro visibile e relativi esperimenti: prendendo un prisma di cristallo e puntando su di esso un raggio di luce bianco, questo disperdeva la luce, scomponendola in vari colori; “raccogliendo” poi questi raggi colorati e facendoli ripassare in un seconda prisma, questi si “riunificano” in un raggio bianco. Se invece si faceva colpire il prisma da un solo fascio di luce colorato, questo rimaneva invariato nel passaggio nel cristallo; da qui lo scienziato dedusse che la luca bianca era formata da tutti gli altri colori uniti. Ciascun colore corrisponde quindi a un diverso indice di rifrazione e la luce bianca del Sole può essere scomposta, mediante i suoi prismi, nei sette colori dello spettro che la compongono (i 7 colori dell’arcobaleno!).
La formazione delle percezione del colore da parte dell’occhio, si delinea in tre differenti fasi:
Un gruppo di fotoni arriva fisicamente all’occhio e attraversa cornea, pupilla arrivando fino ai fotorecettori della retina dai quali viene assorbito: inizia qui il processo di trasduzione, ovvero i fotorecettori trasformano la luce che arriva sul fondo dell’occhio in una informazione (prima chimica, poi elettrica) da trasmettere al cervello mediante il nervo ottico (l’energia luminosa viene convertita in segnali elettrici).
La seconda fase avviene ancora a livello retinico e consiste nella elaborazione e compressione dei segnali nervosi terminando con la creazione dei segnali opponenti, segnali elettrici in modulazione di frequenza, e la loro trasmissione al cervello lungo il nervo ottico.
La terza fase consiste nell’interpretazione dei segnali opponenti da parte del cervello e nella percezione del colore.
I vostri amici a 4 zampe, cani e gatti che siano, non riconoscerebbero Babbo Natale. Ebbene sì, i nostri quadrupedi preferiti non vedono il rosso o per lo meno non come lo intendiamo noi; le api percepiscono invece i raggi ultravioletti. I pappagalli sono in grado di percepire le gradazioni nel campo dell’ultravioletto, tanto che in alcune specie il piumaggio cambia colore in base al sesso in maniera non percettibile da noi umani! La visione del mondo da parte dei pesci è differente da specie a specie, alcuni percepiscono colori e raggi UV, altri ancora pare vedano in scala di grigio; i serpenti invece sono in grado di “vedere” il calore, ecco come riescono a distinguere le sue prede anche al buio!