Il colore nell’arte non è importante, è fondamentale. Anche quando crediamo non esserci stato e invece è solo colpa dello scorrere del tempo, il colore cattura la nostra attenzione, cambia del tutto l’aspetto di un’opera d’arte e la nostra relativa percezione. Da sempre e per sempre.
«Terribile è la mia vita e il mio destino, per colpa della mia bellezza. Oh potessi imbruttire di colpo, come una statua da cui vengano cancellati i colori, e una parvenza brutta invece della bella assumere!» esclama la moglie di Menelao (Re di Sparta) nell’Elena di Euripide. Le opere d’arte e di architettura degli antichi greci e romani sono per noi sinonimo di marmo bianco. Convincimento dovuto ai primi reperti trovati, già durante il Rinascimento, che non portavano tracce di colore. I grandi artisti del 16° secolo, come Michelangelo, volendo emulare la perfezione dell’estetica classica, lasciarono le loro statue del colore naturale del marmo, paradigma dell’arte greca. Mentre in realtà tutta la scultura greca fu policroma.
Amor sacro e Amor profano
Ancora oggi si parla di “rosso Tiziano” per indicare la tinta più usata dal pittore cinquecentesco, quel rosso arancio molto caldo e dorato che andava spesso a caratterizzare le capigliature delle sue figure femminili dipinte. Il rosso che porta il suo nome evoca un’atmosfera calda, luminosa, che permette di giocare con l’effetto della luce, unendo la luminosità della tendenza al biondo con la passionalità delle sfumature più rossastre.
Il primo artista che viene in mente quando parliamo di colore nero è sicuramente Caravaggio celebre per i dipinti in cui dal nero profondo dello sfondo emergono i personaggi e si sviluppano le vicende. Il nero è un colore funzionale a creare un fortissimo contrasto, a far emergere il carattere teatrale della composizione, sembra quasi che un sipario si sia aperto lentamente davanti ai nostri occhi, rivelando personaggi e trame.
Affascinato dall’oro dei mosaici bizantini visti per la prima volta nella Basilica di San Marco a Venezia, Gustav Klimt lo ripropone come sfondo in molte opere per renderle ancora più evanescenti e lontane dal mondo reale. Figlio di un orafo incisore originario della Boemia, la memoria dell’artigianato paterno eserciterà una suggestione ben percepibile sul futuro sviluppo della sua arte, proprio in relazione al periodo della sua attività che interessa il presente lavoro, cioè il periodo d’oro.
“Man Ray nel 1960 dipinse un pane di blu, uno di quei pani lunghi un metro che si usano a Parigi, lo dipinse di blu cobalto. Il pane era sempre fatto di pane ma il colore blu lo rendeva immangiabile. Pare che non ci sia niente in natura di colore blu cobalto che si possa mangiare. Sono stati fatti esperimenti di vario tipo per studiare la relazione tra colore e mangiabilità: un risotto blu non è riuscito a mangiarlo nessuno, anche se buonissimo.”
— DA “FANTASIA” DI BRUNO MUNARI (1977)